Una delle tradizioni del nostro paese era quella di riunirsi in piccoli gruppi, suonando grossi tamburi, danzando e bevendo vino di casa… Se volete conoscere un popolo, dovete ascoltare la sua musica.
(Platone)
La musica popolare ha radici profonde e molto importanti. A San Marco Evangelista era fatta di tamburi, realizzati dall’intelaiatura dei setacci, e da castagnette, fatte con pezzi di corteccia, unite tra loro da spago o budello animale.
In un territorio come il nostro, la cui storia è intrecciata al ciclo delle stagioni, che permettono la coltura di diversi prodotti della terra, poi, la musica ha una valenza molto particolare.
La funzione della musica e dei canti popolari che la accompagnano era finalizzata innanzitutto a favorire il lavoro nei campi.
La melodia – scandita da semplici cadenze – ai tempi in cui il lavoro della terra era fatto per lo più con la sola forza del proprio corpo, rendeva più allegro un lavoro altrimenti molto faticoso, infondendo un ritmo alle diverse operazioni, che fossero di aratura, di semina, di raccolta: consentiva al contadino di muoversi ritmicamente, velocizzando tali operazioni, rendendole – incredibilmente – meno faticose.
Aveva poi la funzione (importantissima) di rendere grazie al cielo per la sua benevolenza: molti canti, infatti, inneggiano alla Madonna.
Altra funzione della musica popolare era quella di trasmettere messaggi, che fossero d’amore o di sfida era il testo stesso a dirlo, fatto sta che risultavano comprensibili solo al destinatario e ad altri pochi furbetti.
Chi dice che si tratta solo di tammorre e castagnette non ha colto la profondità, le sfaccettature, l’onnicompresività, l’importanza della nostra storia.